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«Scrivere dei cani di razza, che hanno avuto un momento di gloria o un padrone famoso, è un modo per ricordare e nobilitare i loro fratelli, umili meticci che, pur compagni fedeli dell’uomo,
non hanno potuto far parlare di sé.
Del resto, i cani non hanno necessità di menzogne per dimostrare la straordinaria importanza che hanno avuto nella vita dell’uomo, che nelle loro vene scorra sangue blu o di ogni altro colore.»
Oscar Grazioli
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Dall’autore del fortunato
QUELLO CHE GLI ANIMALI NON DICONO
un nuovo emozionante libro
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Oscar Grazioli
CANI DI SANGUE BLU
Storia e storie di 31 razze celebri

Aneddoti, curiosità e consigli
dalla penna del popolare veterinario
Dal 28 ottobre in libreria
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Edizioni L’Età dell’Acquario / collana «Altrimondi»
ISBN 978-88-7136-343-1 / pagg. 230, ill. 1/16 col. / euro 16,00
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La sera della battaglia di Bassano, camminando tra i feriti, Napoleone fu colpito dal comportamento di un cane Barbone che difendeva disperatamente un soldato moribondo. Da quel giorno, pur non amando i cani (soprattutto il Carlino della moglie Joséphine che gli impediva di entrare nel letto), l’Imperatore iniziò a nutrire per loro una grande stima.
Ecco chi sono i «cani di sangue blu» protagonisti di questo libro: animali diventati famosi perché hanno preso parte, nel bene e nel male, alle vicende di personaggi celebri e potenti.
Come Boatswain, l’adorato cane di Byron, o Feller, l’odiato cane di Truman o, ancora, Duke, l’Airdale Terrier al quale l’attore John Wayne deve il soprannome… Ma i tanti, piacevoli aneddoti raccolti da Oscar Grazioli (e pazientemente passati al vaglio della ricerca storica) sono anche l’occasione per parlare di 31 grandi razze canine, alcune assai note, altre quasi sconosciute al pubblico, per raccontare la loro origine, descrivere le loro caratteristiche e offrire preziosi consigli sulla loro salute.
Oscar Grazioli, come veterinario, si occupa di animali d’affezione, con riconosciute competenze per l’anestesia e la terapia del dolore. Come giornalista è stato collaboratore di direzione di «Libero», per poi passare al «Giornale» seguendone l’attuale direttore Vittorio Feltri, cui è legato da stima e amicizia. Collabora, con un’apprezzata rubrica, al portale di Tiscali e scrive per numerose testate locali e professionali. Dopo Quello che gli animali non dicono (Età dell’Acquario), ha pubblicato Favole vere di animali speciali (Paco Editore) devolvendo gli introiti all’Associazione Amici di Paco. È da sempre un appassionato lettore di narrativa, fantascienza e thriller. Ama la buona musica, classica e moderna, così come la buona cucina. Ama i cani e adora i gatti. Il suo sito web è questo: www.oscargrazioli.it

Fido e il cinema
Se in Colazione da Tiffany Audrey Hepburn appare come un’amante dei gatti, in realtà, fuori dallo schermo, ebbe un intenso affetto per il suo Yorkshire Terrier che chiamò Mister Famous. Lo Yorkie fa una breve apparizione con lei nel film musicale Cenerentola a Parigi del 1956, dove la Hepburn lavora con Fred Astaire su brani dell’omonimo musical di Broadway del 1927 composti da George e Ira Gershwin. Durante le riprese di Quelle due, film di Wyler del 1962, l’attrice era in compagnia di Shirley Mac Laine e James Garner sul Wilshire Boulevard quando il cane fu investito da una macchina e ferito a morte. Mel Ferrer, marito della Hepburn, cercò di mitigare il suo dolore regalandole un altro Yorkshire che fu chiamato Assam of Assam.
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Il famoso Walk of Fame («Sentiero delle celebrità») di Hollywood, costruito vicino al Sunset Boulevard («Viale del tramonto»), è costellato di stelle con i nomi dei più famosi attori del cinema, selezionati da diverse associazioni. Il Walk contempla soltanto tre animali (se si eccettuano Topolino e Bugs Bunny, che appartengono al mondo dei cartoon): Strongheart, celebre pastore tedesco dei primi film muti (siamo attorno al 1925), Rin Tin Tin, che ne proseguì le gesta diventando famoso in tutto il mondo, e Lassie, che ebbe altrettanta fortuna.
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I personaggi famosi che hanno amato questa stupenda razza [i Boxer] sono innumerevoli. Ricordiamo Shirley MacLaine e il suo adorato Caesar, e Humphrey Bogart, che era un grande amico di Louis Bromfield, scrittore, saggista e vincitore del premio Pulitzer nel 1926. Questi era un grande appassionato di Boxer e sappiamo, dalle memorie di Lauren Bacall, che ne regalò diversi a Bogey durante gli anni in cui si frequentarono. La Bacall ricorda commossa in particolare Harvey, il giovane Boxer che sedeva di fianco al letto di Bogey morente, quasi avesse percepito che stava perdendo il suo padrone.

Fido a corte
Se si vuole scrivere di cani nelle cui vene scorre sangue blu, non si può omettere il Welsh Corgi, il cane da fattoria che è arrivato a conquistare un posto stabile a Buckingam Palace fin dal lontano 1933, quando l’allora duca di York ne regalò un esemplare alla figlia Elisabetta, che gli diede il nome di Dookie. La regina Elisabetta non muove letteralmente un passo senza la compagnia dei suoi amatissimi Corgi, che si dice spadroneggino nei confronti di chiunque, a corte. […]
Molti sono gli aneddoti e le leggende metropolitane che si tramandano circa la vita di questi cani a corte, i loro rapporti con il personale al servizio di Sua Maestà e con i potenti che quest’ultima ha incontrato nella sua lunga vita. Ne riporterò uno divertente, rigorosamente documentato.
Il grande leader sindacalista britannico Hugh Scanlon, deceduto pochi anni fa, un giorno stava pranzando con la regina a Buckingham Palace. Lord Scanlon aveva fama di essere un’ottima forchetta e, pur davanti a Sua Maestà, «diede l’attacco» a una patata arrosto con tale vigore che essa cadde dal piatto e atterrò rotolando sul pavimento regale. Mentre Scanlon se ne stava seduto tutto rosso di vergogna, uno dei Corgi reali caracollò verso il tubero arrostito, lo sniffò un secondo e se ne andò via senza toccarlo, visibilmente schifato. Che cosa disse la regina, sorridendo? «Non proprio la sua giornata, vero, Mister Scanlon?»
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Tra i First Dogs (i cani dei Presidenti americani) fu un Dalmata il cane del primo presidente, George Washington, che poi divenne un loro allevatore, mentre Fido (anche se non proprio un Dalmata di sangue blu intenso) era il cane preferito dai figli di Abraham Lincoln. Fido, a differenza di molti altri cani presidenziali, non abitò mai alla Casa Bianca. Fido aveva il terrore dei rumori molto forti. Dopo diverse discussioni con i figli (che lo volevano portare con sé) Lincoln decise di affidare il cane alla famiglia Roll, affinché ne avesse cura durante il suo mandato. I Roll erano vicini di casa umili e molto stimati dal Presidente, inoltre conoscevano bene Fido. Fu chiesto loro di non rimproverare il cane se entrava in casa con le zampe sporche, perché era abituato a starsene libero in giardino, e, per rendergli la lontananza meno deprimente, Lincoln portò il divano dove Fido si appisolava con lui nel salotto dei Roll. Era chiaro che era più depresso il Presidente del cane. […]
Poco prima di partire per la Casa Bianca, Lincoln portò Fido in uno studio specializzato dove gli fecero una fotografia che egli volle nel suo ufficio a Washington. Purtroppo Lincoln non poté più rivedere il suo amato cane se non quando, dopo il suo tragico assassinio avvenuto nel 1865, i Roll portarono Fido nella sua vecchia casa, davanti alla bara che migliaia di persone in lutto, venute da ogni parte degli Stati Uniti, attendevano di onorare. Seguì il feretro durante il funerale, assieme al cavallo del Presidente, il Vecchio Bob, che portava una coperta nera orlata con una frangia d’argento.

Fido e i suoi 15 minuti di celebrità
Siamo agli inizi del ’900, e Dorothy Harrison Eustis è una valente allevatrice e istruttrice elvetica di Pastori tedeschi. Un giorno riceve una lettera di un giovane dal Tennessee. «Molti altri ciechi come me» scrive il ragazzo, «detestano dover dipendere dal prossimo: mi aiuti a diventare un istruttore, dopodiché potrò tornare con il mio cane e aiutarli a essere indipendenti a loro volta». Letta e riletta la missiva, D. H. E. si convinse e lo invitò in Svizzera. Il ragazzo si chiamava Morris Frank e giunse presso la casa di Dorothy nel 1927. Lei scelse un giovane cane di nome Buddy, che divenne poi il primo cane per non vedenti negli USA dando loro un nuovo futuro, descritto da Morris come «una gloriosa avventura in cui un cane e un guinzaglio sono stati i mezzi per far di nuovo parte del mondo». Morris e Buddy viaggiarono lungo tutto il paese per mostrare come le normali situazioni in cui i ciechi si trovavano in estrema difficoltà fossero brillantemente risolte con l’aiuto del cane. Nel 1929 Dorothy si recò negli Stati Uniti e, assieme a Morris, aprirono la prima scuola di cani guida per non vedenti, che inizialmente ebbe sede a Nashville e fu poi trasferita nel New Jersey, dove opera tuttora.
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Nel giugno 2006 la storia di Belle ha fatto il giro del mondo. Questa femmina di Beagle era addestrata ad annusare e leccare il naso del suo proprietario, Kevin Weaver, per scoprire eventuali crisi di alterazioni della glicemia, causate dal diabete di cui l’uomo soffriva. Durante una crisi Weaver perse conoscenza e Belle, con i denti, schiacciò precisamente il numero 9 sul telefonino del proprietario, collegandosi con il 911, numero del soccorso sanitario d’emergenza. Gli operatori, non sentendo alcuna voce umana ma solo quella di un cane che abbaiava insistentemente, inviarono un’ambulanza a casa di Weaver. Belle è stato il primo cane a ricevere il VITA Wireless Samaritan Award. Si è imbarcata su un aereo in Florida (e non nella stiva, sia chiaro) e con il suo proprietario è atterrata a Washington, dove ha ritirato la medaglia che ogni anno la CTIA Wireless Foundation riserva a chi, mediante un telefono cellulare, ha salvato una vita o ha contribuito a evitare un grave crimine. Questa volta l’eroina era lei, Belle.
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l’indice
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7 Ringraziamenti
9 Introduzione
17 Airedale Terrier
23 Akita Inu
29 Alano
35 Barbone
43 Barzoi (o Borzoi)
49 Basenji
55 Basset Hound
59 Bassotto
65 Beagle
71 Bobtail (Old English Sheepdog)
75 Boxer
81 Bulldog inglese
87 Cao de Agua portoghese (PWD)
93 Carlino
99 Chihuahua
107 Cocker Spaniel
115 Collie (Rough Collie)
121 Dalmata
129 Dobermann
135 Irish Wolfhound
141 Labrador Retriever
149 Lhasa Apso
155 Pastore tedesco
165 Pechinese
171 Saluki (Levriere persiano)
177 Samoiedo (Bjelkier)
183 Terranova
197 Weimaraner
203 Welsh Corgi (Pembroke e Cardigan)
209 Whippet
215 Yorkshire
223 11 settembre 2001: i cani del World Trade Center
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dal libro
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-- Labrador Retriever --
«Se vuoi farti un amico a Washinghton, prendi un cane», così diceva Harry S. Truman, scherzando in modo abbastanza cinico, visto che aveva sbolognato immediatamente al suo medico Feller, il Cocker Spaniel che gli avevano regalato nel Natale del 1947. Certo è che alla Casa Bianca da Coolidge a Clinton, da Roosvelt a Nixon i cani sono sempre stati di casa. Chi non ricorda Buddy, il Labrador Retriever varietà «cioccolato», mentre sale sull’Air Force One con il presidente Clinton?
Come per quasi tutte le razze, l’origine del Labrador è molto incerta. Il marinaio Aaron Thomas, il 25 maggio 1794, scrive sul suo diario di bordo: «Esistono in questi luoghi cani dal pelo raso e fitto, di colore scuro, che recuperano i merluzzi sfuggiti alle reti dei pescatori sulla costa. Questi cani non hanno paura di immergersi completamente per afferrare le prede che riportano nelle barche. Alla fine dell’operazione essi vengono tirati a bordo con l’aiuto di grosse funi». Il marinaio si trovava all’epoca sull’isola di Terranova (Canada) e i cani di cui parla venivano definiti Cani di St. John che si distinguevano, per la taglia, dai Cani di Terranova. Già nel ’400 l’isola di Terranova era contesa per il suo mare pescoso dalle flotte mercantili del vecchio continente, e non si contano le ruberie e le stragi degli indigeni (i beothuk) da parte di chi sbarcava. Fra i coloni stessi scoppiavano liti che sfociavano in veri e propri massacri. È evidente che in questo clima non sarebbe potuto sopravvivere un cane da salotto, ma solo un cane ben temprato, che lavorasse duramente a contatto con i pescatori e i cacciatori. Il Cane di St. John corrisponde a questa descrizione ed è da esso che trae origine probabilmente il Labrador Retriever.
Un’altra ipotesi è invece quella che il Labrador discenda da un cane da lavoro usato dai contadini del Portogallo del Nord, a quei tempi centro di numerosi traffici marittimi. Il cane in questione è il Caõ de Castro Laboreiro, che esiste tutt’oggi e assomiglia a un «brutto» Labrador.
Fatto sta che tra la fine del ’700 e gli inizi dell’800 il Cane di St. John diventa popolare in Gran Bretagna dove, attraverso le flotte commerciali, ne arrivano numerosi soggetti, venduti direttamente sui porti di sbarco. La nobiltà inglese non si lascia sfuggire questa razza particolarmente dotata per il riporto a caccia in palude, nel fiume e nei laghi, però l’interesse per questo cane è frammentario e sembra tramontare presto. Lo troviamo ora presso questa, ora presso quella famiglia nobile, ma in modo sporadico. Alla metà dell’800 presso i marinai britannici gira la leggenda (ma probabilmente il nucleo del fatto è vero) di Brandy, un Labrador imbarcato su una nave da guerra. Durante una tempesta nel Nord Atlantico il cappello di un marinaio vola in mare. Il cane si butta in acqua e lotta due ore per riavvicinarsi al legno, con il cappello tra i denti. Issato a bordo, si deve utilizzare del brandy per rianimarlo.
Agli inizi del ’900 il Cane di St. John rischia l’estinzione a causa delle tasse salate imposte agli abitanti dell’isola di Terranova sul possesso di cani e loro cucciolate e a causa della quarantena imposta agli animali in entrata verso la Gran Bretagna. Proprio in questo difficile periodo, però, il Kennel Club inglese riconosce ufficialmente questa razza, esattamente nel 1903. Il Labrador Retriever non solo è salvo, ma la sua popolarità come cane da caccia e riporto dilaga. Contrariamente alla sua diffusione in Italia, la varietà gialla era inizialmente considerata un difetto, tanto che i neonati venivano scartati dalla riproduzione. Oggi il Labrador giallo è estremamente diffuso e molto alla moda nel nostro paese, anche troppo. Non è male ricordare che si tratta di un cane robusto, pieno di energia, che necessita di lunghe passeggiate e soprattutto dell’acqua, elemento con il quale vive in simbiosi. Buono di carattere, se non riesce a liberare la propria energia interna può diventare un terribile distruttore di arredi casalinghi. Va educato fermamente, altrimenti può diventare non tanto pericoloso, quanto un po’ irritante per quel suo eccesso di attenzione nei confronti degli estranei che si trovano facilmente 25 kg di massa muscolare appoggiati sul petto, per giocare. Il termine retriever indica che si tratta del cane da riporto per eccellenza. Infatti pare ricavi una gioia istintiva nel mettersi in bocca qualsiasi cosa e riportarla delicatamente al proprietario. È noto che il Labrador Retriever può riportare al padrone un uovo intatto tenuto in bocca per vario tempo. A proposito di bocca (anzi, di gola), è altrettanto nota la voracità di questa razza, incline a ingoiare di tutto, divenendo con frequenza obesa e soprattutto a rischio per quanto riguarda eventuali avvelenamenti o intossicazioni acute da porcherie varie.
Chi ha intenzione di acquistare un Labrador, dunque, si ricordi bene che dovrà dedicargli molto tempo e farlo «sgambare» parecchio. La moda recente di acquistare Labrador come fossero Pechinesi o cani da appartamento ha riempito i canili di animali abbandonati, come già è capitato per i Dalmata. Oltre tutto questo cane va seguito attentamente dal punto di vista sanitario, in quanto può soffrire di alcune malattie scheletriche che hanno una forte componente ereditaria, quali la displasia dell’anca, quella del gomito e altre patologie che colpiscono gli occhi. Temibile, seppure molto rara, la distrofia muscolare, una malattia genetica recessiva che indebolisce la muscolatura del cane, ma per fortuna non ha esito letale. Per il resto, si tratta di un cane molto robusto e resistente a condizioni climatiche sfavorevoli.
L’intelligenza e la predisposizione al soccorso di questa razza è dimostrata da soggetti quali Endal che, durante l’attacco terroristico dell’11 settembre, fu in grado, senza previo addestramento, di mettere una persona incosciente in posizione di recupero, afferrare dei telefoni cellulari e appoggiarli alle orecchie di gente a terra che non poteva muovere le braccia, correndo poi a prendere delle coperte, il tutto prima ancora di mettersi ad abbaiare attirando l’attenzione dei soccorritori.
Non si può scrivere del Labrador senza citare Jake, il cane da soccorso più famoso durante la tragedia delle Twin Towers e dell’uragano Katrina. Trovato all’età di dieci mesi abbandonato per strada con una zampa rotta, Jake è stato adottato da Mary Flood, rappresentante dello Utah Task Force, la protezione civile di quello Stato. La proprietaria inserì Jake nel programma governativo d’addestramento dei cani da soccorso e capì, da subito, che si trattava di un cane realmente speciale. E Jake lo dimostrò durante i 17 giorni di durissimo lavoro al Ground Zero, dove salvò, grazie al suo fiuto, un numero imprecisato di persone sepolte sotto le macerie delle Torri cadute a causa dell’attacco terroristico. Vestito della sua divisa da soccorso, venne premiato con una generosa bistecca consumata in un ristorante di Mahattan, e la sua fama di eroe divenne patrimonio comune dei cittadini di New York. Nel 2005 si spostò dallo Utah al Mississipi, per mettere a disposizione dei colpiti dall’uragano Katrina le sue eccezionali doti di cane da ricerca e soccorso. Nel 2006 gli venne diagnosticato un emangiosarcoma (un tumore maligno del sangue) che molti ricercatori credono conseguenza del lungo lavoro nell’aria ammorbata del World Trade Center. Il 25 luglio 2007 Jake «venne messo a dormire» perché la malattia ormai lo stava devastando. Prima di chiudere gli occhi fece un’ultima breve passeggiata, assieme a Mary, nei prati di Oakley, Stato dello Utah in cui era nato.
Forse il più famoso Labrador chocolate è stato Buddy, il cane di Bill Clinton, che se lo portava dietro ovunque. Il Presidente aveva alla Casa Bianca anche un altro famoso ospite a quattro zampe, il gatto Socks («Calzini»), ripreso più volte da varie TV. I due non andavano d’accordo a tal punto che si dovette procedere a tenerli separati in due stanze lontane all’interno della residenza presidenziale. A un certo punto, questa soluzione diventò molto indaginosa e Socks fu portato in una piccola casa di proprietà del Presidente a New York, dove se ne occupò la sua segretaria, Betty Currie. Sfortunata la sorte di Buddy, che è morto nel gennaio 2002 sotto le ruote di un’automobile, a poche centinaia di metri dalla casa del Presidente, a Chappaqua, New York. Aveva quattro anni e la ragazza che l’ha investito 17. Stessa sorte era capitata al precedente cane di Clinton, un Cocker Spaniel di nome Zeke. Dopo la morte di Buddy, Clinton acquistò un altro Labrador che chiamò Seamus.
Meno famoso, ma altrettanto importante, fu un altro Labrador chocolate presidenziale. Il suo nome era Baltique e apparteneva a uno dei Presidenti francesi più illuminati e più amati della storia di quella nazione, ovvero François Mitterrand. Nel libro Interlocuteur privilégié. J’ai protégé Mitterrand [Interlocutore privilegiato. Ho protetto Mitterrand], di Daniel Gamba, si racconta della straordinaria importanza che aveva questo cane all’Eliseo. L’autore testimonia che un giorno in cui il Labrador fuggì dal palazzo per qualche ora la vita all’Eliseo si arrestò. L’11 gennaio 1996, tre giorni dopo la morte del Presidente, in occasione delle esequie private a Jarnac (mentre nello stesso momento si svolgeva una messa nella cattedrale di Notre-Dame a Parigi), Baltique rimase per tutta la cerimonia davanti alla porta della chiesa, tenuto al guinzaglio da Michel Charasse, anziano ministro del Budget. Fosse stato per il Presidente, sarebbe di certo entrato ad accucciarsi di fianco al feretro. Mitterrand amava tanto quel cane che ironicamente minacciava di nominarlo al Consiglio economico e sociale francese. A Baltique il celebre cantautore Renaud dedicò una canzone, mentre in ben due libri gli autori fanno «parlare» il cane in prima persona e rivelano le memorie segrete del Presidente.
Gwyneth Paltrow per anni è stata famosa più per il suo fidanzamento con Brad Pitt che per le sue performance artistiche, almeno fino al 1998, quando ha ricevuto il premio Oscar per la sua interpretazione nel film Shakespeare in Love di John Madden. La bellissima bionda di Los Angeles è strettamente vegana e pratica una dieta macrobiotica che le impedisce di mangiare non solo carne, ma qualsiasi prodotto derivato dagli animali, compresi latte e uova. Nel 2005 il «Daily Express» britannico ha riportato che l’attrice stava tentando di mettersi in contatto con il padre, morto tre anni prima per un cancro alla gola, attraverso un medium di nome Bruce. Questi l’avrebbe confortata, assicurandole che il padre era felice di portare a passeggio nel cielo il suo amato Labrador, di nome Holden, morto anch’esso di cancro. Con questa rassicurazione, la Paltrow avrebbe trovato la forza di superare anche la sofferenza per la morte del suo cane, che aveva dovuto accompagnare dal veterinario perché lo mettesse a dormire. Holden era terminale a causa di un tumore che aveva provocato metastasi incontrollabili e la sua scomparsa è stata un trauma duro, attenuato dalla certezza che stesse giocando in cielo con suo padre.
Un’altra star del cinema che ha posseduto un Labrador è Rupert Everett, l’istrionico, narcisista, orgoglioso attore tanto inviso a giornalisti e paparazzi per il suo carattere. Omosessuale dichiarato, ma riservatissimo, il suo unico amore noto è stato quello per Moise, un vecchio Labrador che ha recitato in Sai che c’è di nuovo?. Racconta Everett:
Nel film io e Madonna, di ritorno da un funerale, ci mettiamo a piangere e a tenerci stretti. Moise, seduto ai nostri piedi, si mette a ululare anche lui. Sembrava proprio dispiaciuto per via del funerale, ma, in realtà, non sopportava che qualcuno mi tenesse stretto tra le braccia.
L’attore lo aveva acquistato nei sobborghi di Parigi e gli era talmente affezionato da non viaggiare quasi mai senza di lui. «Cerco sempre» ha dichiarato, «di affittare un piccolo aereo perché lui non viaggi in stiva». Data l’anzianità di Moise e i suoi problemi di artrosi, Rupert lo portava regolarmente ogni settimana a fare la sua seduta di agopuntura. A causa dei dolori artrosici di «Mo», l’attore si è trasferito nel clima più confortevole di Los Angeles. Animalista convinto, Everett ha aderito a Passport for Pets, un’associazione che si batteva per l’abolizione della legge inglese che imponeva la quarantena per gli animali in arrivo dall’estero, oggi superata da una legislazione severa, che prevede analisi del sangue e stato di salute ottimale, ma non più i quaranta giorni di osservazione nel canile dell’aeroporto. Rupert non pensa solo agli animali. Per l’associazione Oxfam ha effettuato molti viaggi in Africa, come testimonial delle battaglie contro la fame e l’AIDS.
Nell’ultimo ventennio il Labrador Retriever è la razza canina più popolare e più numericamente presente al mondo, con il più elevato tasso di registrazioni ufficiali negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. Inoltre è diventata la razza più utilizzata dalle autorità civili e militari per operazioni di salvataggio, prevenzione del crimine e assistenza sociale.
-- Beagle --
«È un cane che vive seguendo la propria agenda di appuntamenti.» Credo sia la più bella definizione che mi è capitato di leggere sul Beagle. Così la pensano gli addestratori di cani britannici e io sono assolutamente d’accordo, visto che con un Beagle ci ho vissuto a stretto contatto per un bel po’ di tempo. Voi pianificate di portarlo a fare due passi e lui folleggia per il giardino cavando con un colpo di naso i fiori che avete appena interrato. Crollate sul divano in una giornata afosa alle due del pomeriggio e lui saltella e zompa attorno con il guinzaglio in bocca perché vuole andare a fare due passi. Se volete un cane facile da educare, che risponda sempre ai vostri comandi, che se ne stia a cuccia quando volete voi, evitate il Beagle.
Razza antica, forse greca, ma la sua vera patria è l’Inghilterra dove viene incrociato con altri segugi per ottenere un cane piccolo ma resistente, adatto a cacciare la lepre. Questo segugio di ridotte dimensioni, ben proporzionato, armonico e veloce incontra il favore dei cacciatori e, grazie al carattere e alla gentilezza di espressione, anche quello delle dame e dei castellani che spesso li tengono in mute numerose.
Il Beagle diviene molto popolare in Inghilterra nel ’300 e ’400. Edoardo II ed Enrico VII possedevano mute di Glove Beagle, cioè cani dal formato ridotto tale da poter essere trasportati nelle tasche laterali delle selle dei cavalli. Elisabetta I possedeva mute di Pocket Beagle, alti solo 23 cm al garrese. Sembra che il termine beagle derivi dal celtico beag, che vuol dire «piccolo». Il fiuto di questo cane è talmente raffinato che viene oggi utilizzato negli aeroporti americani per scoprire bulbi e piante, per i quali vige il divieto di import-export. Anche in Nuova Zelanda e in Australia i Beagle sono utilizzati dai relativi Ministeri dell’Agricoltura per scoprire l’importazione di specie vegetali o sostanze proibite. Essendo cani di piccola taglia e molto accattivanti fisicamente, non mettono a disagio il passeggero che deve subire la perquisizione (sempre che sia «pulito»).
Il Beagle ha il culto della traccia, tanto che quando passeggia slegato (e non dovrebbe accadere mai in città o in zone di traffico) se annusa qualcosa che lo attira non c’è assolutamente verso di fargli cambiare idea. Potreste tirargli una bomba vicino e lui continuerebbe imperterrito a seguire, naso a terra, quello che lo ha attratto. Per questo motivo non si deve mai lasciare un Beagle (ma questo vale in generale per tutti i cani) trotterellare libero di fianco a una strada. Se incontra la «pista» giusta ci mette una frazione di secondo ad attraversarla incurante di automobili, camion, clacson, urla e fischi. A lui interessa ciò che ha annusato, non la sua vita.
Se riesce a sopravvivere indenne alle mille insidie che si cerca ogni giorno, è un cane che mette allegria solo a vederlo e la esprime in modo palese in casa o in giardino trasformando tutto ciò che esiste nel più meraviglioso dei giochi. Il ramo di una pianta secca, una palla di gomma, una scarpa, un paio di calzini… riuscirà a smantellarli ora dopo ora, minuto dopo minuto, ma ci riuscirà a forza di giocarci. Cane di grande compagnia, odia la solitudine e sarà bene insegnargli, fin da cucciolo, a restare qualche tempo in casa o in giardino da solo, altrimenti, ogni volta che «fiuterà» l’ipotesi che voi stiate pensando di andarvene a fare un giretto da soli, saranno problemi e soprattutto lunghi lamenti. E se uno ha sentito un Beagle lamentarsi continuamente per un paio d’ore, con la voce che si ritrova, gli vengono i brividi al solo pensare di incontrare il vicino di casa quando rientra.
Per ottenere il suo riconoscimento mondiale, come razza, bisogna attendere la sua importazione negli Stati Uniti nel 1876. Sono purtroppo anche gli anni in cui la ricerca medica che sfrutta animali delle più diverse specie lavora a pieno regime. Il Beagle è relativamente piccolo, molto resistente, ha un sistema cardiocircolatorio molto stabile, è di temperamento mite e soprattutto ha vasi di grosso calibro rispetto al suo corpo. Tutto ciò lo condanna alla tragedia di essere scelto quale cane modello nella sperimentazione «scientifica». È la sua «Treblinka». Milioni di Beagle trovano l’agonia e la morte sui tavoli della vivisezione.
Uno dei motivi che ha condannato questa razza al ruolo di cavia è anche la sua salute di ferro. Il Beagle è un cane molto robusto, anche se vi sono alcune malattie, peraltro gravi, che riconoscono cause genetiche o comunque una familiarità nella loro genesi. La stenosi polmonare, una grave malattia cardiaca, l’atrofia della retina, che può condurre a cecità, la sindrome di Wobbler, un’instabilità della colonna vertebrale che si traduce in danni neurologici. Sono comunque malattie infrequenti e generalmente questa razza gode di ottima salute fino a età inoltrata, anche 15-16 anni.
James Herriot, il popolare veterinario scozzese che ha scritto ineguagliabili racconti sugli animali dello Yorkshire, ebbe molti cani e gatti, ma il suo maggiore affetto forse andò a Lidah, un Beagle che ogni giorno gli ricordava le sofferenze atroci che questa razza ha dovuto (e deve ancora) sopportare. Un altro personaggio famoso che adorava il suo Beagle fu Lyndon Johnson, presidente degli Stati Uniti d’America.
Il più popolare e amato Beagle del mondo e di tutti i tempi è senza ombra di dubbio Snoopy, una delle creature più riuscite del rimpianto Schulz e dei suoi Peanuts. Anche se Snoopy non parla mai (del resto si tratta di un cane), Schulz ne fa un fervido e immaginifico personaggio, che non conosce la paura, ma è cauto e prudente, estroverso e meditabondo, affettuoso e sospettoso, timido e curioso. Proprio come un Beagle.
Un altro celebre Beagle è il cane immaginario della fortunata serie televisiva «Star Trek». Il suo nome è Porthos e il suo padrone è niente meno che il capitano Jonathan Archer. Porthos, come è noto, è uno dei tre moschettieri e il suo carattere gioviale ed esuberante si adatta perfettamente a quello del cane spaziale, che è anche un sopraffino intenditore di formaggi. Cheddar, monterey jack e gruviera sono i suoi preferiti. L’unico inconveniente è che gli causano maleodoranti flatulenze, ragion per cui gli vengono concessi solo in speciali occasioni. Quando il capitano Archer deve abbandonare l’Enterprise per lungo tempo, affida Porthos alle cure di Hoshi Shato o del dottor Phlox che, in un episodio, lo salverà dalla morte trapiantandogli la ghiandola di una creatura simile a un camaleonte, dopo che il cane si era infettato su Kreetassa con un germe fatale.
Nel giugno 2006 la storia di Belle ha fatto il giro del mondo. Questa femmina di Beagle era addestrata ad annusare e leccare il naso del suo proprietario, Kevin Weaver, per scoprire eventuali crisi di alterazioni della glicemia, causate dal diabete di cui l’uomo soffriva. Durante una crisi Weaver perse conoscenza e Belle, con i denti, schiacciò precisamente il numero 9 sul telefonino del proprietario, collegandosi con il 911, numero del soccorso sanitario d’emergenza. Gli operatori, non sentendo alcuna voce umana ma solo quella di un cane che abbaiava insistentemente, inviarono un’ambulanza a casa di Weaver. Belle è stato il primo cane a ricevere il VITA Wireless Samaritan Award. Si è imbarcata su un aereo in Florida (e non nella stiva, sia chiaro) e con il suo proprietario è atterrata a Washington, dove ha ritirato la medaglia che ogni anno la CTIA Wireless Foundation riserva a chi, mediante un telefono cellulare, ha salvato una vita o ha contribuito a evitare un grave crimine. Questa volta l’eroina era lei, Belle.
L’ex presidente degli Stati Uniti Lyndon Johnson possedeva tre Beagle che aveva chiamato Him, Her ed Edgar. Durante una conferenza nel 1965 si verificò un curioso episodio. Johnson afferrò Edgar per le orecchie e si mise in posa con lui per una fotografia. Fu accusato a lungo di maltrattamento ma, essendo il Presidente degli Stati Uniti, non ebbe a patire alcun danno se non morale. Egli si difese sempre sostenendo che il suo atto era privo di qualsiasi pericolo per il cane. Nulla è dato sapere di che cosa ne pensava Edgar. Probabilmente l’FBI lo mise a tacere.
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Edizioni L’Età dell’Acquario / collana «Altrimondi»

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Oscar Grazioli, medico veterinario e giornalista pubblicista, vive e lavora a Reggio Emilia, dove è nato. È stato uno dei primi veterinari, in Italia, a occuparsi scientificamente delle malattie di animali inconsueti, quali scimmie e rettili. Collabora da anni con importanti testate nazionali. Da sempre lettore insaziabile di narrativa, legal thriller e fantascienza, apprezza la buona musica, classica e moderna. Ama i cani e adora i gatti. Nel 2003 ha pubblicato Favole vere di animali speciali (Paco Editore).
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